Project Description

SOSPESI NEL DESTINO

DI PAOLO MONGA

Il destino è un orizzonte da riempire ancora nascosto in un paesaggio incompiuto. La domanda cruciale, che inevitabilmente ci rivolge, si declina in una triade inseparabile e ineludibile: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Non sembra insensato chiedersi Che ci faccio qui? domanda esistenziale e anche titolo del celebre libro di Bruce Chatwin, non a caso scelto da Paolo Monga come unico personaggio riconoscibile in una galleria di ritratti di sconosciuti. Infatti i racconti dell’instancabile viaggiatore si ispirano a spunti reali per poi prendere una direzione che sconfina nell’inverosimile e nella finzione. Similmente, Paolo Monga impiega la documentazione fotografica raccolta, per poi intenzionalmente decontestualizzare luoghi e ambienti, ed ottenere un effetto di spaesamento affine alla poetica della narrativa di Chatwin. Partire dalla suggestione di una immagine certa per perdersi in un paesaggio indefinito. Si riconosce una non trascurabile irrequietezza nei ritratti a figura intera o piano americano, frontali, di profilo, di tre quarti, tutti accumunati dal suggerire l’impressione di galleggiare sospesi nella propria autonomia autoreferenziale. In Trittico il punto prospettico moltiplicato circumnaviga il capo come fosse un pianeta visto da un’orbita: è un punto di vista pan-ottico e avvolgente che circoscrive l’identità alla ricerca di una assoluta oggettività dove il formato di una fototessera impazzita sembra ossessionata dall’identità sferica e sfuggente della testa. L’identità personale è già un universo troppo vasto per poter essere trasceso, l’individualità umana sembra compiuta ed invalicabile. Il mondo si mostra fermo in un eterno presente, mentre la vita scorre senza avvertire: è come esistere ma senza inviare segni di vita.

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Tutta la vulnerabilità si mostra quando si viene catturati da uno scatto non richiesto. Ritratti di uomini non illustri, ma circondati da un’aura indicibile di eccentricità, resi visibili dal dono naturale della personalità. Istrioni involontari, dandies inconsapevoli, attori di strada non professionisti che recitano sul palcoscenico aperto della vita quotidiana, senza battute già scritte, ma cooptati in un ruolo da protagonisti per una improvvisa visibilità. Ritratti sottratti all’innocenza.

Occorre ispirazione, intuizione e rara attenzione per afferrare il particolare rivelatore, il dettaglio psicologico, che tradisce il mondo interiore della fauna umana contemporanea. I protagonisti dei quadri di Paolo Monga potrebbero appartenere a quell’affresco sociale grottesco della Grande bellezza di Paolo Sorrentino, c’è un’aria di famiglia che li accomuna nelle tensioni sottese e nel tono disincantato di chi appartiene a un mondo troppo antico per vivere davvero il presente. Vivono una certa avversione al protagonismo diffuso, forse per questo vogliono guadagnare una posizione più appartata. Ma c’è sempre un fotografo predatore in agguato che li porta alla ribalta.

Quella di Paolo Monga è una tecnica saldissima, seppure appresa non da troppo tempo. Il suo esperimento oltre i confini della fotografia è mantenuto all’interno di quel che resta della pittura. Vite parallele che non si incontrano. Volti nella folla, stravolti dalla follia. Senza nome, rivolti altrove, ma inseguiti dal resto del mondo. Solitari, diversi, elitari nel protendersi fuori campo, ritardatari fuori tempo massimo. Non troppo dimessi d’aspetto, ma dismessi dal dovere di apparire, mai fuori posto, dignitosamente fuori posa.

C’è una ricercata genesi fotografica nelle opere di Paolo Monga che ne rappresenta il pre-testo, il presupposto ontologico, il fantasma originario di un’immagine pittorica ancora da compiersi. Il fotografo, spinto da un interesse fisiognomico, riprende quasi per caso volti che, quasi inspiegabilmente, lo colpiscono durante un viaggio, spesso attraversando città straniere. E’ una ricerca di espressività, colta nei tratti umani capaci di condensare un’intera storia di vita in un unico istante di autenticità. E’ un gesto assoluto che si tinge del mistero della biografia. Sconosciuti che diventano protagonisti pur rimanendo enigmi. Può essere, volta per volta, un artista, un antiquario, un pescatore, i personaggi scovati in un incontro casuale, vengono decontestualizzati con un lavoro di filtraggio e depurazione del soggetto, che perde il ruolo, la dimensione pubblica, e viene rappresentato grazie alla pura energia comunicativa della fisiognomica. Sono concentrati di vita vissuta distillati nel colore della pittura. Sono caratteri che comunicano col corpo, ma che, invece di raccontarsi, preferiscono interrogarci senza proferire parola.

Nel processo artistico di Paolo Monga lo scatto fotografico è selettivo per istinto, grazie a un’attenzione fluttuante su volti solo in apparenza ordinari, ma che ad una successiva analisi compositiva e ulteriore raffinamento del taglio dell’inquadratura, rivelano tratti e potenzialità rimaste ignote. Solo a questo punto si passa all’esecuzione pittorica. Dunque si tratta di dipinti esclusivamente realizzati da foto a loro volta ritoccate per quanto riguarda l’inquadratura.

La pittura è interpretazione dinamica ad alta intensità cromatica, è vibrazione unica irriproducibile, è un campo di sensibilità che reagisce alla pretesa oggettività del fotorealismo lasciando affiorare impulsi latenti dal profondo dell’inconscio. Il gioco di variazione e sfumatura della tradizionale tecnica ad olio consente di restituire un tocco di vitalità che la tecnica fotografia non possiede. La pittura è immaginazione estetica che coglie la metamorfosi del soggetto e lo condensa in un’icona di luce. Sono le imperfezioni dell’epidermide, i leggeri strabismi degli occhi, l’intensità dello sguardo, le asimmetrie quasi impercettibili del corpo, il profilo del naso, la postura ad esprimere la vitalità altrimenti irriproducibile del soggetto. Grazie alla sottostante preparazione fotografica, la costruzione pittorica si arricchisce di verosimiglianza senza cedere ad un eccesso iper-realistico: non si cerca una stucchevole imitazione patinata foto-realistica, piuttosto si vuole permettere un dialogo tra strati di verità svelando il dispositivo in azione che combina scatto fotografico meccanico, superficiale ed effimero, e pennellata provvista di densità materica e significante più profonda. La pittura, con la sua pratica gestuale e interpretativa sa trasmettere una qualità esistenziale che la fotografia non può raggiungere. La figurazione post-novecentesca non può rimuovere la soglia che la fotografia digitale ha fatto varcare alla dimensione dell’immagine contemporanea nella costruzione pixel dopo pixel dell’identità personale.

La pratica artistica di Paolo Monga si avvale di un metodo di rallentamento del processo creativo mediante un rituale di preparazione dei supporti che assembla pannelli, incolla la tela e predispone in modo accurato lo sfondo su cui dipingere. Ciò è finalizzato a rendere possibile una forte caratterizzazione del rapporto figura-sfondo che permette di rendere in maniera assolutamente contemporanea e consapevole l’aleatorietà del rapporto tra il soggetto e il contesto paesaggistico in cui si trova ad agire. Da una parte una cura estremamente definita del dettaglio fisiognomico e della resa materica dei tessuti e delle vesti dell’individuo, dall’altra la campitura monocroma nello sfondo che installa il soggetto in un luogo astratto privo di storia e di referenza ad un paesaggio concreto riconoscibile. Per questo il fantasma non è più rappresentato dalla persona, ma piuttosto dal paesaggio. Lo scenario è il mistero più profondo che risucchia il soggetto in un destino indicibile e misterioso. Il paesaggio conserva una perfetta ambiguità di ambientazione, provenienza e futuro. Le avventure e le disavventure di cui non è dato in alcun modo sapere, si possono solo intuire con l’arte dell’immaginazione. La promessa di riempire una campitura di colore con il profilo di un mondo in sottofondo non è stata ancora esaudita. Occorre pazienza per lasciare emergere un altro mondo, restando indecisi tra un destino da compiere ed un dubbio da non sciogliere.

Vittorio Raschetti


Paolo Monga nasce il 10 marzo 1964 a Monza. Da sempre appassionato del disegno e delle arti grafiche, compie gli studi che lo porteranno alla laurea in Architettura, ottenuta nel Politecnico di Milano, e successivamente allo svolgimento della professione di architetto.
Dopo aver avviato la professione, inizia contemporaneamente l’attività di pittore autodidatta che poi perfeziona frequentando le lezioni di pittura, dal 2007, presso l’atelier della pittrice monzese Francesca Guffanti.
Dal 2013, dopo aver affrontato la pittura di paesaggio con un approccio innovativo e l’esecuzione di ritratti di animali, comincia un nuovo ciclo volto a ritrarre la figura umana, focalizzandosi in particolare sulla rappresentazione dei volti in primo piano. La tecnica utilizzata è quella tradizionale ad olio, ma nel contempo nelle rappresentazioni viene ricercato un linguaggio personale e contemporaneo.
La scelta è quella di ritrarre persone comuni, incontrate per caso nel corso del proprio cammino, anche in posti diversi visitati nel corso dei viaggi.
I soggetti vengono rappresentati decontestualizzati dai luoghi nei quali sono stati ripresi, in modo da esaltarne gli aspetti somatici che, oltre che comunicare le differenti personalità individuali, ci fanno immaginare le svariate storie di vita ed i diversi destini di queste persone…
La “missione” di questi lavori è anche quella di stimolare in tutti noi uno spirito di osservazione più profondo e riflessivo rispetto alla superficialità indotta dalla frenesia della nostra società contemporanea, nella quale l’apparenza spesso sopravanza gli aspetti umani ed i veri valori.
Paolo Monga partecipa a diverse mostre personali e collettive, ed inoltre ad alcuni concorsi di pittura, tra i quali il più significativo è il BP Portrait award che si tiene ogni anno a Londra (partecipazione nel 2013, 2014, 2015).
I suoi lavori sono presenti in diverse collezioni private nel nord Italia.

www.paolomonga.it
www.artmajeur.com/antoniofumagalli
paolo.monga@libero.it

CURATORE ARTISTICO
Felice Terrabuio
felice.terrabuio@tiscali.it Felice Terrabuio è su facebook

PRESENTAZIONE E TESTO CRITICO
Vittorio Raschetti
vittorioraschetti@libero.it

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