Project Description

L’OBLIO. SIMBOLOGIA OLFATTIVA DELLA MEMORIA

DI MEO FUSCINI

MEO FUSCIUNI presenta: L’Oblìo_simbologia olfattiva della memoria, installazione olfattiva sensoriale, un percorso artistico multisensoriale di installazioni aromatiche, tra pittura informale e musica aleatoria, suggestioni sonore ed immersioni nell’inconscio collettivo della memoria olfattiva. 9 opere, 9 porte della percezione per varcare la soglia dell’oblio, alla ricerca dell’Io perduto, guidati dalla mistica della rivelazione. Il codice profondo della memoria odorosa si abbandona alla poetica della dimenticanza.

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Con Meo il ricordo è un anello d’incenso, una scia di vapore avvolgente. Un anello di Moebius avvitato su se stesso e rovesciato sul mondo. Desolato, stravagante, enigma olfattivo evaporato nell’oblio. Dove, se non nell’oblio? Oltre l’Io, abitando la smemoratezza, perdendo il contatto coi nomi, inconsapevole preda di delirio aromatico.

L’aroma è preciso, inesorabile, implacabile nel provocare uno squarcio nella densità spazio temporale, è un coltello nella notte che dischiude una fenditura tra due eternità, futura e passata. L’odore è il vettore che varca la soglia tra smarrimento e scoperta, divaga in un tempo confuso, sembra installarsi nel passato per poi cancellarsi. La percezione olfattiva è mobile, una mutevole, incontenibile, fluttuazione. L’immagine olfattiva è la proiezione di densità differenziali di segni che colpiscono la mente, una dinamica infinita di linee di fuga divergenti, collisioni dissonanti ricombinare fino all’ossessione. La fisiologia organica del profumo si accompagna alla fenomenologia della memoria come movimento involontario di risorgenza. Una ricerca del passato che urta contro lo strato opaco, la densa consistenza nella materia taciturna. Si ritrova una sorta di impazienza costitutiva nell’offrirsi dell’essenza odorosa nel medium naturale dell’aria. Il mezzo è l’aria, dove un vento balsamico si propaga senza apparenti confini né limiti di direzioni. Ma il mezzo è anche il tempo, in una direzione non lineare di contrazione e distensione di istanti che ricompone il passato con il presente e dove percezione e ricordo si compenetrano scambiando qualcosa della loro verità. L’aroma è un mezzo, uno strumento per riconfigurare il passato, per trascrivere pagine in una lingua futura, per estrarre vissuti da riconfigurare nel possibile. Non solo realtà olfattiva, soprattutto virtualità aromatica, un campo di rimodulazione della memoria in una immaginazione poetica creatrice di libertà. Armonica, eretica, aromatica.

Richiami nel tempo consumato dal dovere di custodire oltre la contrazione della materia, fino in fondo al tempo curvo della verità.   Dissoluzione e rivelazione senza contrapporsi al nulla, ma imparando a confondersi con gli oggetti, a nascondersi negli strati opachi delle cose.

Con Morfeo, veglia e sonno dell’Anima, nella reverie trasognante della dimenticanza ad occhi aperti spalancata sull’insonnia. All’alba o mezzanotte, uguale e indifferente per Borges accecato, divagando tra falsi inganni e vere menzogne, tra siepi ostili di labirinti, racconti di racconti e mondi paralleli illuminati dal lontano ricordo della luce, mentre l’insonnia della ragione crea mostri di immaginazione. Sono profumi retrattili, reversibili come narrazioni riavvolte al contrario.

Con Teseo tra biforcazioni senza uscita, immersi nell’aria irrespirabile di un cupo labirinto sotterraneo dove il pericolo avanza con l’odore della cattività animale.  Implacabile, l’intreccio dei miti e delle sale moltiplicato da sconnessioni temporali, racconti e richiami olfattivi ingannatori e predatori. Adorati, odorati.

A Creta, El Greco prima di finire a Toledo, crea un profumo da nascondere nell’anima di un vaso. Un vuoto d’aria introvabile, un nascondiglio perfetto,  custodito nel viaggio visionario dal centro del Mediterraneo al centro della Spagna: dal mare alla terra guidato da miraggi e folgorazioni improvvise. Il ricordo di questo tesoro inaccessibile è la vera combustione nella mente mistica che vuole il nulla per avere tutto. Le figure febbricitanti nei quadri El Greco sono fiamme liquide, ricordano fuochi fatui, combustioni di gas decomposto, profumi blu nel bagliore estremo di fantasmi, sono fanta-miasmi.

Stati di evanescenza, moti di trascendenza, sempre più labili confini tra l’arte della fuga e la persistenza della memoria. Dove non finisce il desiderio, dove non nasce il mondo, tra ambiguità olfattive da decifrare come manoscritti di oscure dottrine e mondi nascosti da rivelare. Destini ormai distanti intinti nella melanconia del non accaduto tra vendette profumate non consumate.

In una intervista poi semi-smentita nella sua autobiografia, Keith Richards, sosteneva di aver sniffato, in un momento di non rara follia, le ceneri del proprio padre defunto. Un rito paradossale, per molti aspetti magico, un viaggio a rebours contro natura, accompagnato dal  padre inspirato fin oltre la soglia dell’assurdo, assorbendo la polvere dell’origine. Così inverosimile, provocatorio, intelligente come un tabù profondo quanto un immenso desiderio di conoscenza. Ceneri, povere polveri respirate in un soffio finale di vitalità che aspira all’origine, che respira la propria provenienza bruciata, sbriciolata nell’oltraggio del tempo. Ricordi da rifiutare, profumi da profanare. Perché, sulla via di Proust, si comprende come solo profanando ricordi si comincia a conoscere.

Mea Culpa tra odori, colori, dolori. Espiazioni private. Radici affondate negli strati profondi delle narici. Cosi prossime al baricentro della mente. Un intero funerale di ricordi da nauseare.

Una creazione multisensoriale di vibrazioni aromatiche disposte su tavole materiche esoteriche. Un teatro sensoriale avvolgente e sospeso che è il segno mistico dell’estasi.  Senza  rinchiudersi nella bella calligrafia del manierismo aromatico o nella rincorsa all’impressionismo fugace dell’arcobaleno dei profumi del mondo, ma frequentando sino all’estremo il margine dell’indicibile solipsismo aromatico. Un mutismo autistico olfattivo dell’abisso che inonda di silenzio assordante lo spazio nero della tela. Per questo lato alchemico occorre passare, per  questa soglia, cercando di trattenere in vita quel che resta del mondo.

Il sibilo di un profumo insidioso che avvelena la memoria per costringere a provare l’antidoto alla melanconia. Un teatro olfattivo  mette in azione un campo di azioni prossemiche di avvicinamento-allontanamento dalle tele per lasciarsi possedere da attimi estatici, stati di oscillazione sensoriale, indietreggiando tra ricordi perturbanti e sottili membrane, tessuti opachi che nascondono canti funebri di odori che gridano. Un percorso onirico tra sosia olfattivi e doppi sogni, mescolanze impure che rimandano a simulacri di passato.

Senza pretendere di sopravvivere alle ragioni oscure della potenza. Arcani e profani, ermetici e poetici. Epifanie inattese, deflagrazioni di ambienti aromatici, spettrale teatro da camera olfattiva.

Smells like Spleen spirit

Una tavola di odori apparecchiati con cura per una cena a cui nessuno si presenta. La delusione di una festa fallita, l’odore indelebile di una sera inconsolabile da conservare a futura memoria. Turbini nei turbinati, tempeste olfattive, cicli vorticosi e ipnotici che fanno impazzire, movimenti concentrici  prima lenti, poi più veloci, poi improvviso comincia a calare un calmo profumo di assenza.

Occorre imparare ad ascoltare gli aromi che passano attraverso le crepe, i profumi murati disposti a tutto. La parvenza di un mondo nascosto, riaffiorato da desuete fragranze inattuali, un mondo incerto riapparso solo grazie alla mescolanza impura del ricordo con l’impazienza dell’ossessione, tra echi olfattivi che risuonano nell’apparenza del risveglio. Vegliando al buio consapevoli di appartenere a uno stato di disordine poetico.

Nel tentativo di sopravvivenza nell’eterno rituale di imbalsamazione del corpo, occorre svuotare l’interno, risalire lungo le narici, per arrivare a rimuovere le parti molli, estraendo l’apparato olfattivo. Devitalizzati e anestetizzati sfuggendo all’indicibile dolciastro sapore del nulla, che non svanisce col corpo, ma se ne appropria per secernere l’indicibile. Più oltre la polvere di calce ansima.

Rianimarsi chissà dove, in un qualsiasi altrove, in una resurrezione di promesse. Sgravati dal peso, puri effluvi in fuga, dispersi tra sapori capovolti. L’onore perduto nell’odore consumato dentro teche di cristallo.

Solo un asmatico angelo della notte come Proust può sopravvivere negli ultimi anni grazie ad una strategia di fumenti e suffumigi, solo un deprivato dell’olfatto come Proust sa muoversi cosi disinvolto nei sotterranei dell’anima del mondo senza mai perdersi. Solo un derubato del tempo della vita dalla scrittura può ricevere il dono inafferrabile ma definitivo della memoria involontaria che dischiude il sigillo del tempo ritrovato.

Fusciuni, acque perse nei letti di fiumi prosciugati, essiccati, annegati nei profumi. I salmi perduti nella ripetizione risalgono i flutti del torrente della memoria. Nel fiume dei resti, gli effluvi, le correnti di combinazioni contrarie, l’improvviso arrossarsi delle acque, le profezie in lingue antiche evocano l’aroma crudele.

Rileggendo Edgar Allan Poe in una luce declinante di tarda estate, una premonizione oscura, un breve accenno e le stanze cominciano a vacillare, i mondi a delirare, i sensi piegati al dominio dell’eccentrico: logiche insolite, movimenti mesmerici, ritorni da mondi lontani, calamitati da polarità inverse. Pazzi effluvi di cripte tra marmi sbriciolati.

Molto distante, il caos si rapprende, e ci fissa in una luce ospedaliera senza tempo. Profumo di cloroformio.

Lo sfaldarsi della consistenza, lo sfacelo della bellezza, il disastro della creazione, la caduta nell’inorganico, inanimato e inodore. Profumi opachi, tra venti di carbone, transitati nei turbini di una tempesta privata. Nei dintorni del caso, tra intrecci di limatura, arabeschi involontari di polveri di ferro deposte secondo disordini solo apparenti. Forme disegnate con la polvere da sparo pronta ad accendersi nel volto già noto del colpevole. Infinita innocenza del ricordo che riconquista la propria origine, oppure proiezione futura, come un’ellittica architettura barocca contenuta in una navicella sepolcro che nuota nel vuoto tra galassie addormentate.

Quadri non esposti, indisponili a lasciarsi catturare dall’attenzione famelica dello sguardo. Quadri che si ritraggono, per nulla disposti a lasciarsi inquadrare dalla precisione del bisturi della visione che squarcia la tela nelle sembianze di una apparizione surreale. Non è il dominio della visione, è il gioco del dòmino, la caduta contagiosa nel regno dell’inconscio collettivo olfattivo. Il Dio dell’oblio si lascia avvolgere della dimenticanza, rilasciando una quasi impercettibile traccia olfattiva, una fragranza fossile intraducibile all’olfatto contemporaneo. Non potendo far riapparire il mondo, ci si concede la nostalgia della sua assenza.

William Burroughs potrebbe immaginare stati di paranoia aromatica, con fantomatiche polizie segrete deviate in grado di esercitare stati di controllo collettivo attraverso la diffusione di profumi ipnotici attraverso condotte di areazione.

Il turbamento coglie di sorpresa in perfetta intima discontinuità coi propri archivi segreti. Circondati e sedotti dal nero, pronti a cogliere la visione di una improvvisa cascata olfattiva. La perfetta illeggibilità di tracce mobili, sabbie orientate da un vento interno si depongono sul mobile antico, come una seduta spiritica spirata, rappresa nella luce del mattino razionalista, dopo una notte agitata dialogando con gli spettri di anime inquiete. Traspirate oltre gli incensi.

Come un dirigibile di diamante pronto a frantumarsi in miliardi di pezzi in caduta libera, precipitati tra scaglie di cristallo, odore di elio incendiato, una esplosione di gas esilarante, un profumo che taglia la mente. L’aria irrespirabile avanza. Stantia inanimata testimone solo di se stessa. Apatico sprofondato tra profumi postumi, ingannato dalla reticenza dei ricordi che finge la persistenza della memoria.

Unire le epoche in una malinconia odorosa rancorosa, sfiorando l’ostile traccia dei sapori, riabilitando fiori malati. Risospinti nel tempo spento, prendendo coscienza che il ricordo è possibile solo sull’abisso del terreno perduto. Autobiografie incerte nelle memorie inabitabili della memoria familiare. L’aria di famiglia esala da un profumo che indietreggia nelle ossessioni suggerendo improvvise  fughe nel sapere malato.

Anche nello spazio vuoto, si ritrovano gli odori di  qualcuno che non vi è mai vissuto. Le tracce olfattive si incarnano in simulacri di esistenze immaginarie. Innaffiati di sabbia si crede di poter nascondere l’eco spirituale, il richiamo olfattivo del passato, la nemesi olfattiva del tempo.

Il tempo dormiente infonde calma dentro il tepore di una custodia sigillata. Ben conservate, le reliquie di una vita, le piaghe della memoria, le pieghe del destino, non rivelano ancora nulla del proprio mistero. L’identità rimane sospesa nell’infedeltà dello scambio delle memorie, nel tradimento della memoria dell’oblio. L’aroma è una cerimonia iniziatica di perturbazione dei sensi che sfiora l’odore del sangue. Devoti all’odore della paura che si insinua nella fossa comune dell’io, si procede nella terra ignota degli odori infrangibili tra ustioni di ricordi ed esalazioni di menzogne. Silenzi ed incertezze, ripensamenti, inganni olfattivi, trappole ricche di odori incommestibili. Cattive abitudini di anni irrespirabili, divagando nel corso del tempo confuso. La rivelazione casuale di una verità, tra riflessi ingannevoli, confonde  con l’allegria di una pioggia improvvisa di essenze profumate. L’anima oscurata ancora corteggia la bellezza senza nemmeno riuscire a morire. Come disfarsi dei ricordi? Apprendere a dimenticare è arte raffinata. Occorre ricordarsi per dimenticare. Sembra così elegante scordare, ma la vera vendetta è fingere di dimenticare.

Vittorio Raschetti

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