Project Description

FALSI MERIDIANI

DI CASSANDRA WAINHOUSE

Falsi meridiani

Il richiamo alchemico di onde leggere di polvere d’oro riaffiora ostinato tra le geometrie irregolari, tra le migrazioni e le rifrazioni taglienti della luce. Una cartografia delle zone sensibili del corpo, una mappatura dei fondali interiori, una filigrana di tracce di spessore impalpabile che interpella la qualità tattile della sensibilità, tra infiltrazioni dell’anima, cortecce dorate, incroci e sovrapposizioni di catene del significato, tessiture e concatenazione di maglie del senso, attraversate dalla nostalgia per legami e trame di storie potenziali. Allegorie inarrestabili, sconfinamenti oltre ogni previsione, irriducibili a qualsiasi precisione geometrica: incomprimibile proliferazione vegetale di latente intelligenza naturale.

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C’è un valore divinatorio, senza essere solo un monito, nelle opere di Cassandra Wainhouse: successioni di immagini che restituiscono una visione del mondo, o meglio una diagnosi di quello che il mondo è già diventato: il frutto proibito dell’ambizione sconfinata e terrena, il frutto malato della  curiosità infinita e dell’incapacità di coabitare, di condividere responsabilità, di suddividere equamente spazio e risorse. L’umanità, a rischio estinzione, sempre in via di definizione, si lascia evocare entro campi di tensione, avvolta da un tessuto elettrico di vibrazioni incessanti e di intermittenze. Una immagine in filigrana, scritta in un codice allusivo, disposta a lasciarsi rivelare solo controluce, grazie ad un paziente lavoro di lettura simbolica che non rinuncia a mostrarsi sotto le sembianze di armonie di colori e cascate di segni. Il piacere estetico non deve attardarsi troppo o soltanto nel gusto, ma deve indurre ad oltrepassare la soglia dei sogni privati, per  riflettere simboli collettivi, archetipi profondi inscritti in linguaggi universali. 

Il sigillo stilistico non si perde per strada nelle biforcazioni interne dei possibili dell’arabesco, ma trova sempre la soluzione, guidato dalla potenza formale sprigionata dall’istinto morfologico, riuscendo a coniare valori morali incastonati nella consistenza temporale di materiali preziosi come il senso della vita. 

Un fiume aureo prima del fluire metamorfico del tempo nel tempo, prima della degradazione del tessuto nobile delle relazioni umane. Una perfetta coerenza visiva che si lascia cogliere tra le strutture di ripetizione nella modulazione armonica di accordi di forme. Preziosi prelievi dagli strati profondi della Terra pronti ad essere trapiantati in un universo di immaginazione sospesa. Porosa configurazione aperta pronta a contaminarsi con le mille gradazioni della purezza, trovando l’oro nel nero, custodendo la forza inattingibile della forma del sacro, profanando il culto della rarità, dissipando la forma nella vita in una lotta di forze ambigue e metamorfiche. 

C’è bisogno di armare la sensibilità per disarmare il cinismo della chiusura dentro barriere mentali. Nelle opere di Cassandra Wainhouse si fa largo il desiderio di riattivare un centro di consapevolezza sincretica del tempo, di un ascolto degli echi e delle risonanze tra eventi lontani, apparentemente separati e irrelati, inconseguenti e indipendenti. La connessione tra luoghi distanti, la ricaduta di effetti a distanza come una specie di comunicazione telepatica tra mondi, attraversando epoche a velocità differenti, una telecinesi tra oggetti apparentemente ciechi mossi a distanza da una regia senza nome, da una energia ineffabile di visione. Come mostrare questo meccanismo di concatenazione tra fatti, di relazioni  sprovviste di nessi causali? Proprio attraverso un limite, lo strumento solo  apparentemente più inadatto e statico della pittura – come Cassandra Wainhouse ha intuito – perché la sintesi del luogo geometrico e piano del dipinto è in grado di operare con gli artifici della pittura e della materia, che grazia una struttura complanare di adiacenze consente di evocare magicamente l’idea di un tempo avvolgente. La bidimensionalità della tela, anche accresciuta plasticamente dal collage materico, in ogni caso esclude in sé l’apporto una quarta dimensione, ma la sintesi della dimensione temporale fa apparizione nell’opera sul piano dell’evocazione grazie a un gioco allusivo di segni e texture impiegate non solo in senso grafico e ritmico, ma anche come disegno e filigrana di sovra-impressioni e dissolvenze affioranti sulla superficie. Questa tecnica consente alla pittrice di realizzare una sorta di trompe-l’oeil, non già di tipo tradizionale e prospettico, ma, per cosi dire,  temporale e in grado di suggerire una apertura sulla quarta dimensione, una finestra sullo scorrere del tempo per mostrare la deflagrazione di diversi orizzonti temporali tra loro. Sono vere e proprie onde di tempo che si scontrano tra loro generando visioni di contemporaneità estatica e confusione di istanti differenti. Oltre il tempo attraverso l’immagine per mostrare staticamente e visivamente la condensazione di eventi asincroni in una dimensione assorbente di un unico tempo assoluto. 

La tecnica visiva impiegata riesce abilmente a creare allo stesso tempo il paradosso visivo di una dispersione di segni in una condensazione di immagini: l’effetto è la rappresentazione di elementi semiotici centrifughi inglobati nell’aggregazione centripeta dell’unità di senso del quadro. Il movimento attivo di percezione visiva dello spettatore perciò si ritrova a ricostruire mentalmente gli elementi compositivi dell’opera avvertendo la contrapposizione visiva non come incoerenza formale ma come apertura su un mondo sincronico nel tempo ed ubiquo negli spazi dove si perde la determinazione dell’hic et nunc che si permuta in un ovunque simultaneamente. 

L’artista franco-americana rispecchia il proprio nomadismo autobiografico in una pratica artistica dove sembra evaporare la dimensione territoriale stanziale per consentire di avventurarsi in una poetica dell’attraversamento e di una geografia morale di contaminazione culturale. Una mappa galleggiante su acque inquiete, una cartografia degli incontri, dei flussi, della qualità degli affetti, dell’intensità possibile delle relazioni. Terre incognite segnate da rilievi, striature, indici mobili, lettere in fluttuanti. Rarefazione e saturazione di segni in un universo di linee di amicizia alla ricerca di territori di verità. Intersezioni ed incroci di civiltà, l’oblio della distanza si frange lungo le onde anomale della storia. Sotto i cieli avversi del presente, lo spazio appare saturo, denso di tensioni, la vita appare fluidificata dall’imperativo della mobilità di massa. Inquadrare lo spazio in un reticolo di meridiani e paralleli, di longitudini e latitudini inquadrando l’irriducibile irregolarità dello spazio in una regione conoscibile e controllabile di terre addomesticate dalla geometria. L’artista, con il gesto di riprodurre per filo e per segno i meridiani e i paralleli, compie un’operazione concettuale non solo decorativa, mettendo in risalto il carattere arbitrario e fittizio di ogni operazione di quadratura del cerchio di cartografia del mondo. Le mappe sono ormai lo strumento universale per orientare l’orizzonte morale del presente, per assegnare coordinate etiche all’agire disorientato da un avvenire bio-politico generato da un universo demografico di contaminazioni e migrazioni permanenti. L’impronta delle mani sopra le carte geografiche affonda il proprio significato nel gesto originario della pittura apparsa nelle grotte nei tempi ancestrali della pittura paleolitica. Mani che indicano presenza e riconoscimento di esistenza, ma anche mani che invocano spiriti animistici di protezione che affondano nella notte arcaica e pericolosa delle comunità nomadi e che riaffiorano nei sogni popolati da archetipi universali che mettono in contatto il lato notturno dell’umanità paleolitica con quella contemporanea. 

L’oro spesso presente nelle opere di Cassandra Wainehouse assume un valore estetico e materico ma insieme anche di amuleto, di preziosa corazza esoterica in grado di proteggere riflettendo, rifrangendo la luce. 

Le chiusure territoriali come spazio claustrofobico e regressivo del ripiegamento nell’identità. Una spazio poetico di turbolenze, costellazioni di segni  in transito tra sogni di acqua e persistenze della memoria, asimmetrie, rilievi e falde, lacerazioni e stratificazioni, vibrazioni di fasci di linee, suture di lembi di continenti alla deriva. Tracce di passaggio, echi di presenza che risuonano nei raddoppiamenti delle figure. Ombre apolidi in transito sul suolo di nessuno, esuli passi migranti su tappeti volanti. Brevi volatili sopravvivenze quasi prive di gravità. Orme senza peso, onde volanti, come avventure avventate nei deserti dell’aria.

Un rimando latente, non rivendicato poeticamente, ma che si può scorgere nella lettura di un intreccio tra la trama e l’ordito di strutture non solo modulari e formali, ma anche logiche e sintattiche, una tessitura non solo materiale ma concettuale che si intravede scorrendo lungo il filo infinito del senso dal lato inafferrabile dell’eterno rovescio. Ogni impronta è una vibrazione timbrica, è una nota dissonante. Uno spartito di suoni di carta per un concerto di mani che applaudono accordate in una polifonia eccentrica. Ogni mano mancina è differente, irriducibile, indisciplinata e destabilizza le attese e la simmetria apparente nelle relazioni tra le cose. Silente e latente, distante e cangiante la tela si rapprende in un tentativo di composizione di strati di assemblaggi di carte disperse.   

Il ricomporsi di lembi di continenti alla deriva. delle differenze è sazio di sequenze di filtri, di carte, garze, tessiture, fili, foglie si addensano per comporre campi di tensione, un groviglio di fibre, di fili annodati, il rovescio e il diritto necessari per ricomporre la paziente tessitura del senso, per ricucire i lembi lacerati del significato troppo spesso sfilacciato. Il tempo accartocciato incerto tra oblio e memoria, le sinapsi tra milioni di neuroni sono il geroglifico della mente, cartografie del cervello, trascrizioni dell’anima interiore del flusso dei pensieri, catene associative di segni e di sogni, di colori inafferrabili annegati nei deserti di carta, di tele in attesa di ricevere il dono del colore e dell’attenzione.     

Se c’è un destino nel nome, è il destino di farsi annuncio: prendere consapevolezza del lato pericoloso della bellezza e del dovere di suggerire una via possibile per abitare  poeticamente quel mondo che ci chiama oltre i confini. Ci attende un mondo di pietre fluide, una tessitura di dissolvenze e sovra-impressioni affacciate sullo spettacolo dello sciogliersi di un sogno ricurvo. La rivelazione della forma nel dischiudersi di una nuova geografia in un tempo di estasi.

 Vittorio Raschetti 

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